I.P.C.A. di Ciriè
L’Industria Piemontese dei Colori di Anilina viene aperta a Ciriè nel 1922 dalle famiglie Ghisotti e Rodano.
Il successo commerciale dell’I.P.C.A. è determinato, fondamentalmente, dalla competitività dei prezzi rispetto ai concorrenti stranieri, ottenuta grazie all’adozione di metodi di lavoro arcaici che espongono i lavoratori al contatto diretto con le sostanze tossiche senza alcun dispositivo di protezione.
L’incidenza anomala di casi di cancro alla vescica, nei lavoratori delle fabbriche di anilina, era stata già osservata nel 1895 dal medico tedesco Ludwig Rehn, ma bisognerà attendere gli anni ’50 perchè sia stabilita la cancerogenicità delle ammine aromatiche.
Nel 1971 il professor Rubino, direttore dell’Istituto di Medicina del Lavoro, scriveva in una relazione al Comune di Ciriè:
…il proseguimento dell’indagine induce a ritenere che il numero dei colpiti da cancro aumenterà ulteriormente. Si tratta di dati impressionanti ed è da ritenere che almeno in passato l’esposizione agli aminoderivati è stata all’IPCA decisamente intensa. L’azienda si presenta in condizioni igienico ambientali non certo ideali. Gli impianti sono di vecchissimo modello ed il trasporto e il maneggio di sostanze anche tossiche avviene con mezzi del tutto primitivi…
Nel 1968 due operai, Albino Stella e Benito Franza, si licenziano e iniziano a indagare da soli sui numerosi casi di morte dei colleghi, fondamentalmente ricercando e contando i decessi. Ne contano 134 e decidono di sporgere denuncia (siamo ormai nel 1972) contro l’azienda, essendo ormai anche loro ammalati. Nonostante il cospicuo impegno economico della proprietà per organizzare difesa e perizie a propria discolpa, si arriva a sentenza di condanna nel 1977.
Approfondimenti e fonti
- La fabbrica del cancro. L’IPCA di Ciriè – Einaudi ISBN 8806126334
- Se il lavoro uccide. La fabbrica del cancro di Giuseppe Marazzini (con il pdf del Libro Bianco del 1973)
- L’articolo de l’Unità del 21 giugno 1977 con la sentenza del processo